giovedì 15 giugno 2017

AILANTO n. 44 - Su Luca Minola


Leggo Pressioni, il libro di Luca Minola che Maurizio Cucchi ha accolto nella sua collana «I Giardini della Minerva», per le edizioni LietoColle. Così Cucchi ci introduce a questo poeta: «La luce parrebbe porsi come un elemento strenuamente ricercato nella poesia di questo giovane autore di cui emergono, già a prima lettura, la capacità di controllo stilistico e formale, la sobrietà del linguaggio, il desiderio di penetrazione di un reale sempre incerto, ambiguo, oscillante». È quanto si potrebbe dire di molti altri autori della generazione di Minola, che  Cucchi da tempo monitora con attenzione. Ma questo autore non ha timore di tornare a esibire, al contrario dei suoi coetanei, referenti chiari e non certo prossimi, come Montale e Porta rievocati in epigrafe, ad apertura di libro. È un viatico interessante – e importante – non solo per comprendere Pressioni, ma anche per ristabilire un contatto, consapevole e privilegiato, con la poesia del Novecento, spesso letta come un serbatoio a cui attingere, nel migliore dei casi.
Che Minola ami la poesia, che la coltivi – come lettore avveduto, anzitutto – è evidente dal rigore della sua scrittura. La lezione dei maestri per lui non è solo una questione di immagini, ma anche di stile: «Gli stili ci precedono, temuti e assenti», dice in un verso. Lavorano sotterraneamente, sono anche un pericolo. È un verso che ribadisce una sorta di datità delle cose, un andamento concettuale quasi apodittico, che scandice certezze incontrovertibili. Nelle forme brevi, dove riesce meglio (in quelle più lunghe a volte il fraseggio inciampa, ma si tratta di minime messe a punto), ogni incipit ci parla di questo. Propongo una rapida carrellata: «Le attese hanno nomi precisi»; «Il campo era sterminato»; «Le pupille non trattengono, rilasciano» (bell’indizio di poetica, questo); «Le sostanze sono chiare»; «Il sermone è in silenzio»; «La pace consuma». «E quel che è», avrebbe detto un poeta come Fried. Ma questa datità è smossa, agita, per usare un termine a cui Minola stesso allude in queste poesie, da un «delirio d’immobilità». Montale è presentissimo, come è presente anche la sua ricerca di una «maglia rotta», o con Porta, di «un foro nella tessitura celeste». È una datità senza tempo, passato e futuro implodono nel presente come implodono le immagini, così essenziali, stilizzate in una contrazione, in una sintesi estrema. Il fraseggio di questi componimenti più brevi ricorda molto quello del primo Neri, così spiazzante nella sua asciuttezza, ed è questo l’andamento che Minola predilige; ciò che nei componimenti più lunghi talvolta oscilla, qui si mostra invece con indiscussa compattezza.
La luce a cui allude Cucchi sembrerebbe dunque una luce della certezza, se non fosse che queste tarde epifanie sfuggono al divenire, per astrarsi da una storia personale. A questi fotogrammi implosi Minola dà un nome preciso, un nome che è il titolo stesso del libro, perfettamente coerente, e della sua breve, fulminante sezione centrale: la sua è una poetica della «pressione», che pesa sulla percezione delle cose, sulla loro acquisizione psicologica, come pesa, concretamente, sulla «materia» (non a caso il titolo della sezione da cui Minola riparte, passata la boa del centro). In questo stato di «attesa» (montaliana, ermetica, e più indietro già simbolista) Minola sceglie di sostare, prima che il tempo riprenda il suo corso vertiginoso, per condividere lo spazio minimo di un vissuto osservato e trasfigurato nella severità della poesia.

Luca Minola, Pressioni, LietoColle 2017, e. 13.00.

Apre la sua vela una giornata di calore:
svela i segnali, le ritmiche delle gradazioni,
i lampi come sogni ripuliti.

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