venerdì 11 novembre 2016

Giorgio Caproni e gli altri








Qualche considerazione in margine al libro di Elisa Donzelli Giorgio Caproni e gli altri (Marsilio Editori). A partire dal titolo, che è sempre la porta d’ingresso di un’opera, in questo caso di uno studio denso e per molti aspetti avvincente. È un titolo particolare, perché ne richiama nell’immediato altri due: I libri degli altri di Italo Calvino, che ripercorre la storia dello scrittore che si è fatto editor, consulente, redattore per Einaudi delle scritture altrui; e, per quella congiunzione «e» che sta proprio al centro del titolo, e ne rappresenta il cuore, Passione e ideologia di Pasolini. Nel primo caso ci imbattiamo in uno degli auctores del nostro Novecento più coinvolto in operazioni editoriali a vario titolo; nei suoi interventi, nei suoi giudizi, avvertiamo il confronto e la tensione tra una personalità ben definita, con i suoi gusti e le sue idiosincrasie, e il suo modo di lavorare sulle opere degli altri. Gli altri, insomma, restano una costellazione esterna, che poco o nulla influisce sulla fisionomia dello scrittore-giudice. Nel secondo caso, invece, come aveva acutamente osservato Cesare Segre, quella «e» non è una semplice congiunzione, né si carica di un valore temporale («prima la passione e poi l’ideologia»), ma sta a indicare che le due, passione e ideologia, marciano di pari passo e si alimentano vicendevolmente.
Credo che questo sia il senso più autentico di questo titolo dove, solo in apparenza, Caproni (anzi, «Giorgio Caproni») è lì nel pieno della sua identità, nell’affermazione totale della sua onomastica, rispetto agli «altri». Perché di quel «Giorgio Caproni» gli «altri» fanno invece parte a pieno titolo, e questo è il significato autentico delle ricerche di Elisa Donzelli. Quella congiunzione non disgiunge, non separa, non identifica due mondi separati (la monade Caproni rispetto alle altre), ma inserisce opportunamente la storia, la vicenda di questa poesia all’interno di un sistema più vasto, di una rete di relazioni. Giorgio Caproni con gli altri.
Dunque, questo libro è anche una precisa indicazione di metodo: non è più possibile circoscrivere le grandi esperienze della letteratura contemporanea nell’asfittico circuito della nazionalità. Le relazioni con l’«altro» esistono, sussistono e restano ben vive anche dopo la morte di un autore, come questo libro, nella sua impostazione più che condivisibile, dimostra. Perché? Nella presentazione a Roma presso la Casa delle Letterature, Biancamaria Frabotta ha invocato una metafora assai suggestiva, e non nuova a una certa visione della prassi letteraria: l’applicazione, ai testi e alle letture che ne facciamo, del principio di indeterminazione di Heisenberg.  Mi ci ero imbattuto proprio a proposito di Calvino, ma qui la faccenda si fa ancora più interessante e coinvolge le dinamiche della ricezione delle opere. In breve, quel principio ci suggerisce che lo sguardo dell’osservante modifica l’osservato. Che vi sia una buona soggettività nella ricerca (anche in quella scientifica) è un dato di fatto su cui non occorre insistere; ma qui è proprio lo sguardo della studiosa che riaccende e vivifica per noi quella rete relazionale, mostrandocela in una prospettiva nuova, e direi pertinente, consustanziale.
Una prima osservazione riguarda proprio lo spostamento percettivo nei confronti di un panorama novecentesco, troppe volte storicizzato con fretta e approssimazione. Questo libro ci costringe infatti a ripensare, per tornare a Pasolini, a categorie come quelle di «Novecento» e «Anti-Novecento». Quando Pasolini le coniò, sapevamo bene a cosa si potessero riferire. Ma proprio quel principio di indeterminazione ci induce a un rovesciamento prospettico. Già, perché ciò che Elisa Donzelli non ha scritto, ma che si evince con chiarezza dalle sue pagine, e dalla precisa passione con cui le conduce, è che oggi la spina dorsale del nostro Novecento lirico non è più rappresentata dal coté ermetico, che gli «altri» - soprattutto la cultura francese e quella spagnola - li ha forse più assorbiti e subiti, piuttosto che confrontarsi con loro e agendo un’iperletterarietà dei linguaggi, per difendersi in autonomia dalla Bestia della Storia. Come invece hanno fatto, per vie diverse, Penna, che si smarca ben presto dagli «oscuri turiboli» di Baudelaire e Rimbaud; Bertolucci, che si apre alla grande poesia di lingua inglese, e appunto Caproni, che si trova a convergere con Sereni - un poeta che non a caso si è progressivamente allontanato dai suoi esordi ermetici - su un poeta indubbiamente complesso come Char; ma a patto di vedere in lui, nell’autore di Fogli d’Hypnos, un altro indubbio polo di tensione con cui confrontarsi costantemente, piuttosto che un maestro da emulare. In questo senso la traduzione di Char diventa una vera e propria mediazione culturale.

Veniamo subito a scoprire, grazie alle indagini d’archivio, che la Bestia non è solo un grande fantasma, una grande «metafora ossessiva», come si diceva un tempo, del Caproni più tardo, ma è fin dagli esordi il motore, l’anima di questi versi. L’idea complessiva, e sfaccettata, del male che percorre la storia degli uomini e inquieta la loro natura, è già qualcosa di più di una potente suggestione giovanile, mediata da una lettura di Pierre Jean Jouve. Insomma, la Bestia si sostanzia, ontologicamente, nel rapporto con l’altro, lo alimenta, nel senso che lo condiziona, e ne è a sua volta alimentata. Il fantasma diviene racconto, proprio nel senso leopardiano di narrazione in assenza, ovvero racconto del pensiero, nel pensiero: ovvero immaginazione, fictio. Non è forse Finzioni uno dei primi titoli di Caproni? Senza la sua assenza, senza la sua invisibilità e inafferrabilità, la Bestia non potrebbe porsi come il grande e vero agente antagonista di tutta la poesia di Caproni: non potrebbe essere raccontata. E che dovesse restare inafferrabile, rendendo la caccia infinita, è solo un corollario necessario. Il cacciatore è tale, e resta in azione, all’erta, solo finché la caccia può proseguire. È solo la morte –e in questo caso neppure lei – a interromperla. Elisa Donzelli ha ripreso quella caccia per noi.

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