martedì 14 luglio 2015

AILANTO n. 18 - Su Piergiorgio Viti




Se le cose stanno così era il titolo di una nota canzone di Sergio Endrigo, e il ricordo va agli anni sessanta, agli arrangiamenti con i violini, a spiagge colorate e affollate, a una gioventù a stento ereditata da chi, vent’anni dopo, ha potuto vivere piuttosto quella penombra di benessere che sono stati gli anni ottanta, con le loro più autentiche tensioni. Endrigo fa pensare alla gioventù dei nostri genitori, a una stagione che si può raccontare attraverso la memoria altrui e la nostra immaginazione. Oggi, di quel titolo, che è un esplicito e voluto omaggio, si è appropriato Piergiorgio Viti, poeta marchigiano, che con questo nuovo libro si conferma tra le voci più interessanti, direi di rilievo, delle nuove generazioni. Se le cose stanno così è un agile libretto di sei sezioni, i cui titoli, con un certo pudore, sono racchiusi tra parentesi, come a suggerire che le voci dei personaggi in cui c’imbattiamo di pagina in pagina si sono sovrapposte a quelle del poeta.
In realtà ciò che accade è esattamente il contrario. Quel che salva questi versi dal bozzettismo narrativo di tanta provincia italiana e fa ritrovare in loro quella dose di trascendenza che è l’essenza della più autentica poesia è proprio la straordinaria compattezza della voce, la sua tenuta costante: voce che è un efficacissimo attrattore di storie, di vicende, di cronache, di caratteri, che tutti insieme, come in un caleidoscopio di immagini, rifrangono un’unica sola immagine che è quella della vita stessa, nelle sue sfaccettature, nelle sue contraddizioni, nella sua apparente immobilità. Non siamo davanti a un semplice affresco, ma a qualcosa di più complesso, dove la lingua della poesia ricostruisce e salda realtà disparate e disperse, restituendo loro un senso. Nessuno dei personaggi evocati in questo libro, infatti, pur nell’estremo lindore della pronuncia, nel rasoterra della retorica, potrebbe mai parlare una lingua che all’improvviso non sa resistere e deve necessariamente esplodere cercando lo scarto metaforico, la tensione immaginifica con quanto cerca di raccontare o più semplicemente descrivere. A partire dalla prima sezione, (colloqui coi genitori), che rinvia direttamente al lavoro di insegnante di Viti; e qui, sbirciando per un attimo  tra i muri della sua aula, ci accorgiamo che il momento dell’interrogazione fa tremare «come una corda che aspetta / il centimetro di un salto»; e ancora, una normale passeggiata finisce per infastidire i cani che hanno «le pupille strangolate di rabbia», così che tutto un mondo di senso finisce per spalancarsi dietro uno scenario urbano, apparentemente ristretto o consueto.
È una scrittura disarmante, questa di Viti, che non gioca con la semplicità e la chiarezza, ma le coltiva e le cavalca con una certa sorniona sapienza, con lo sguardo di chi si è abituato a osservare le cose della vita con il giusto equilibrio di partecipazione e distacco, così che una certa cifra gnomica segna le chiuse, a mo’ di sentenza o di scoperta, la cui evidenza non può che coinvolgere i lettori.  In questo teatro fatto di piccole sequenze, di monologhi interrotti o costretti all’essenziale, prende forma quel «vuoto d’aria» che ci contiene tutti, quel «qui», unica e molteplice dimensione dove ogni evento, ogni pensiero sembrano destinati a svanire, in una finitudine che non è dolente o malinconica, ma che si attesta – come suggerisce il titolo complessivo – per quel che è.

Piergiorgio Viti, Se le cose stanno così, italic 2015, e. 12.00

Di spalle, puoi contarmi le vertebre
assegnare ad ognuna un nome
nella marea del non detto.
Ma sale, sale fino alla nuca,
germoglia già reciso,
si infiltra tra i giorni che vivi,
vento lucertola dolore
quel Dio
che non sai come pregare.

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