martedì 26 agosto 2014

Arnaldo Ederle su Solstizio

Una recensione di Arnaldo Ederle, apparsa su «Bresciaoggi» il 18 agosto:

Come il trapezista di Kafka sa volare sui casi della vita



Roberto Deidier, romano, vive tra Roma e la Sicilia dove insegna all'università. Il suo nuovo libro, Solstizio (Mondadori, 166 pagine, 16 euro) è corposo, diviso in sei sezioni. 
«Dicono morte l'istante della morte/ E la sua sterminata sospensione,/ Soglia e stanza infinita/ Dove i passi non coprono misure»: come si vede da questi versi, l'autore ha la chiarezza e la luminosità espressiva della classicità. Fra tutte le sezioni la più importante nella trama del libro è «Il secondo trapezio», ispirata a un racconto di Kafka, dove la precarietà del trapezista ben simula l'altra precarietà, quella esistenziale. 
All'inizio di alcune parti della raccolta, assolutamente compatta e idonea ad essere chiamata propriamente libro, si legge una poesia, un vero e proprio esergo, scritto in corsivo, che ne anticipa il contenuto generale, e suggerisce lo spirito dell'intera sezione. Un artificio davvero funzionale che favorisce la continuità del racconto intimo che il poeta, nella vita che espone, forma con il materiale del suo ricercare e della sua continua attenzione alle cose che egli ritiene fondamentali nella sua esistenza: «Folla del primo mattino, folla senza rumore/ Cedi il passo agli ospiti festosi/ Voi che portate il peso di ogni giorno/ e fate i miei sogni più leggeri,/ Non gravare di fatica le mie spalle/ di dolore le mie braccia». Deidier è poeta del dettaglio, descrittore caparbio di tutto ciò che a prima vista non compare all'osservazione dell'uomo, ma che sta sotto o imbrigliato nella matassa del vivere come parte fondante dell'esistenza, osso duro della sua essenza e della sua forma. 
Deidier insegue queste figure di tutta una vita nelle sue più intime sfaccettature, nei suoi tratti più evidenti al suo sguardo e alla sua fine sensibilità con l'acume di pensiero e di scelta che lo distingue: «Frontiera aspra e indistinta/ Rinarra paure sconosciute:/ I piedi confitti nel suolo,/ L'affondo alle Madri che inghiottono/ I figli spinti troppo avanti./ E improvviso il ricordo di quanto/ Quella loro esistenza sia preziosa». 

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