giovedì 26 giugno 2014

Dietro le parole

Luigi Carotenuto mi ripropone un pensiero di due anni fa, apparso sulla sua rivista "L'estroverso":

Penso la poesia come un fuoco freddo, che brucia lentamente senza mai esaurirsi, perché la rete dei suoi significati è molto ampia, e le sue maglie larghe abbastanza per entrarvi. La poesia è qualcosa che si “fa”, ma soprattutto “accade”, è un evento che ci pone di fronte a noi stessi; non c’è poesia, infatti, di fronte a pochi versi chiusi in un cassetto o in uno scaffale da cui nessuno tira giù un libro. La poesia non è soltanto nella scrittura, ma anche nella lettura, che è la sua stessa vita: la stessa differenza che c’è tra uno spartito e la musica vera e propria. Occorre che qualcuno la esegua e che qualcun altro la ascolti. Se torno a parlare proprio di musica è perché a dispetto delle tante, forse troppe dissonanze che hanno segnato tanta poesia moderna, il ritmo e ancor di più il senso del ritmo rappresentano per me un fatto irrinunciabile: quando scrivo c’è una frase musicale che inizia a formarsi nel mio orecchio, e quel ritmo non tarda a farsi immagine, figura che veicola un pensiero.
Fuggiamo la poesia, allora, come fuggiamo le nostre verità, con cui preferiamo non fare i conti; e la scansiamo come cerchiamo di scansare la fatica, perché penetrare quelle maglie costa in termini di solitudine e di silenzio. E preferiamo circondarci di tutte le facili immagini che possiamo subire passivamente, piuttosto che rinunciare ai nostri occhi una volta per sempre e lasciarci guidare da altri occhi: non c’è poesia dove la lingua non segna uno scarto percettivo rispetto alla realtà consueta, alla sua ordinarietà. L’ascolto di noi stessi, il coraggio di scendere nell’abisso delle viscere richiedono proprio questa rinuncia, senza la quale all’immaginazione non è delegato alcun potere di ricreare il mondo e di mostrarcelo come se lo vedessimo per la prima volta. Dunque quella cecità è la ricerca di una purezza, di un decantamento di tutte quelle scorie che la storia porta con sé e scarica sulle nostre spalle: i poeti ci restituiscono una lingua franca, forte e senza misura, capace di aprire una prospettiva, anche dura e impoetica, attraverso cui tornare a osservarci. Come un bene difficile da conservare e amministrare, la poesia è un bisogno controverso, come le nostre consapevolezze. Non sta tanto in ciò che mostra, ma nei legami più intimi della lingua che ricrea: sta, in definitiva, dietro le parole.

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